venerdì 15 febbraio 2013

Per arrivare a Potenza smart

Fino a dove possiamo spingerci per una smart city?
Prima di tutto è necessario se non fondamentale comprendere se una città è pronta o può essere davvero intelligente.
Spesso tutto parte dal cittadino. E non sempre la partenza è delle migliori.
A volte mi chiedo quanto potremmo fare per le nostre città se solo volessimo o cercassimo di migliorarle e di amare gli spazi che viviamo ogni giorno. attenzione sto parlando di noi prima delle amministrazioni pubbliche. Ricercare problemi negli altri dare la colpa alle istituzioni o pensare che lamentarsi semplicemente possa cambiare qualcosa, non aiuta a trovare quel punto di svolta che rende una città migliore.
Quindi se è vero che siamo noi a creare e a rendere la città quello che è, allora è anche vero che dobbiamo essere noi i primi a raggiungere il risultato.

Passerò come sempre per quella che si lamenta e cerca sempre il pelo nell'uovo però per favore le regole sono semplici per cambiare.

Regola numero 1: coscienza civica
Se non amiamo e rispettiamo noi per primi la città non saranno di certo gli altri a renderla migliore. Quindi, partendo dal parcheggio selvaggio e arrivando al totale disinteresse per la segnaletica stradale, non possiamo di certo chiedere una cittadinanza consapevole senza che le basi siano state create.

Regola numero 2: per fare una rete ci vuole unione
Quindi dimentichiamo quei tavoli raccolti e nascosti per pochi eletti. Dopo aver lasciato Potenza per 10 anni al mio ritorno ci ho messo 2 anni per reintegrarmi. Perché quello del circolo eletto è ancora oggi, purtroppo, una base su cui regge l'immagine di questa città. E siamo ancora ben lontani dalla massoneria.

Regola numero 3: connettività
La città intelligente è aperta, connessa e sempre pronta. Potenza pecca un po' su questo. A cosa serve avere gli open data o le migliori applicazioni se poi non abbiamo i mezzi per cavalcare l'onda della rete? E non dimentichiamoci del digital divide, ma questo meriterebbe un post a parte.

Di regole ce ne sarebbero ancora e tante, ma le basi per creare e formare una città intelligente partono forse da questi tre punti. E da noi cittadini, ovviamente.

venerdì 8 febbraio 2013

Potenza: smart city?

Ho appena scritto le mie idee per la città di Potenza a "Potenza goes smart"
se volete potete farlo anche voi inviando una mail a ideas@potenzasmart.it oppure guardate il sito www.potenzasmart.it
Molto interessante e soprattutto stanno organizzando un incontro molto carino per il 14-15 e16 febbraio.

Ecco le mie idee per la città:

1) Un incubatore di idee innovative. Uno spazio online che diventi un vero e proprio incubatore di idee e generatore di nuove tecnologie per rendere Potenza una città smart. Penso ad un portale dove gli utenti possano dialogare per apportare novità in vari ambiti: arredo urbano, società, cultura, vita sociale ma anche servizi, green economy, urbanistica, marketing e promozione territoriale. In pratica una città creata dai cittadini e pensata "per noi grazie a noi"

2) Net City. Reti aperte, wi-fi e informatizzazione dei servizi.

3) Palazzi fantasma. Potenza è piena di palazzi, aree e capannoni abbandonati e non utilizzati. Vorrei una città che permettesse e offrisse l'utilizzo di questi spazi ai giovani e ai creativi. Immagino uno spazio web che mappi tutti i "palazzi abbandonati" e dia la possibilità alò cittadino di partecipare attivamente alla ripresa non solo di questi spazi ma anche delle aree abbandonate, di scegliere uno spazio e renderlo proprio. Penso a spazi di cowworking e fabbriche di idee. Grandi capannoni fuori la città che diventino spazi da offrire ai giovani per organizzare attività e incontri.

4) Cittadinanza attiva e coscienza civica. Un'applicazione mobile che permetta al cittadino di indicare in tempo reale situazioni di degrado nella città: buche, segnalitica che non funziona, problemi di viabilità, degrado ambientale e degli spazi. Uno strumento utile per il cittadino e importante del la PA che può monitorare e immediatamente controllare i problemi esistenti.

E poi: aree verdi, aree pedonali, spazi per i giovani, più cultura e più partecipazione.


We can change it now!
JUST DO IT!


venerdì 1 febbraio 2013

Ufficio stampa o giornalismo?

Sono anni che affronto questo tema: ufficio stampa e giornalisti.
Mi occupo di comunicazione e pubbliche relazioni da oltre 10 anni. Agli inizi ho lavorato come addetta stampa. Non sono una giornalista, ma ho dovuto confrontarmi con loro più e più volte; direi più che confrontarmi, ho palesemente passato le mie “produzioni” alle redazioni che si sono occupate di tagliarle attentamente e incollarle negli spazi. Ed ecco fatto l'articolo di giornale.
Se notate, molte delle informazioni istituzionali che trovate sui giornali sono le stesse, senza distinzione alcuna tra giornali. Sono comunicati stampa creati da chi, come me, lavorava o lavora negli uffici stampa e produce idee, testi e scritti da divulgare al pubblico.
La cosa che mi fa più ridere è data dal fatto che i comunicati dovranno anche essere scritti seguendo delle regole precise, che permettono al giornalista di faticare ancora meno: i periodi devono essere intuitivamente scollegabili tra loro, le frasi corte e la punteggiature semplice, in modo da dare la possibilità alle redazioni di prendere qualche periodo tagliarne altri, miscelare il tuo elaborato nel modo migliore ed ecco pronto l'articolo.
Quando lavoravo nella moda, poi, la situazione era anche peggiore. Al danno si aggiungeva la beffa: non bastavano più solo i comunicati, servivano anche i pensierini da inviare alle giornaliste, elaborare un media plan che ti permettesse di avere abbastanza pubblicità sui giornali sui quali volevi che uscissero le tue notizie e le tue immagini.
Elaborare, modificare, mettere del proprio, fa parte del vostro lavoro. Siete pagati per farlo, quindi fatelo.

Tanti giornalisti che lavorano negli uffici stampa lo fanno come secondo lavoro per guadagnare di più e come seconda scelta quando non hanno la possibilità di lavorare nelle redazioni: esistono realtà in cui trovi persone a capo dell'ufficio stampa che lavorano poi anche in qualche redazione di testata. Scorretto e sbagliato, perché viene a cadere immediatamente il principio di libertà e indipendenza del giornalista, che avrà pur sempre un interesse privato nel comunicare qualcosa, mentre dovrebbe, per l'interesse pubblico, semplicemente dare informazioni disinteressate al pubblico di riferimento.
O almeno, così è come la penso io.

Quando, ancora troppo giovane per saperlo, ho scoperto che per lavorare in un ufficio stampa pubblico dovevi essere necessariamente un giornalista, sono svenuta e ho pianto per un mese quasi. Mi sono chiesta come fosse possibile una cosa del genere. Perché io che per anni ho fatto questo mestiere per grandi aziende, ho gestito le crisi e ho dato IO il lavoro ai giornalisti, ho creato relazioni ad ogni ora del giorno e della notte e ho studiato ogni strumento per rendere migliore il messaggio, non potevo essere parte di un ufficio stampa di un'istituzione. Eppure, non sono diversa da un altro addetto stampa, magari ho anche più esperienza di un giornalista che non sa neanche come gestire determinate cose. Far parte di un ufficio stampa significa anche avere la prontezza di risolvere i problemi, e questo non lo sai fare solo se hai un tesserino inutile da giornalista.
Due pesi due misure?